4 chiacchiere con Christian Molinari - Alpinista


Sei nato e cresciuto in montagna, hai respirato fin da piccolo l’aria frizzante a quota 2500 durante l’estate e a quota 1800 durante l’inverno. Immagina di chiudere gli occhi e di poter tornare alla tua infanzia, quale è il primo ricordo visivo che ti viene in mente?

Se chiudo gli occhi e penso alla mia infanzia il Rifugio Berni-Passo del Gavia è la prima immagine che si presenta nella mia mente. Il rifugio era all’epoca gestito da mio nonno, ed è all’età di quattro anni che ho iniziato le mie prime “esplorazioni”, mi arrampicavo ovunque ed ero davvero attratto da tutto quello che mi circondava. Attraverso la curiosità tipica dei bambini ho maturato una propensione naturale alla connessione con la natura.
 


Sei diventato soccorritore alpino e speleologico prima e guida alpina successivamente, cosa ti ha portato a queste scelte e quale è stata la tua “impresa” più emozionante e quale quella che ti ha messo più in difficoltà ?

Ho partecipato alle selezioni  per diventare soccorritore a 17 anni, mio padre mi fece un’autorizzazione scritta per l’iscrizione. A 21 anni sono diventato guida alpina e da allora a oggi continuo a portare avanti il mio progetto di perfezionamento in entrambi i campi. 

La mia è una famiglia di alpinisti e l’amore per la montagna si è tramandato di generazione in generazione e così sto facendo con le mie tre splendide bimbe.

Non è facile rispondere alla domanda sull’impresa più emozionante, perché ogni vetta raggiunta o mancata è un emozione, ogni sentiero scosceso o pianeggiante lascia sempre un ricordo indelebile.
Sicuramente  Tomori in Nepal è stata per me la prima spedizione all’estero, quindi ho un legame profondo con questa “impresa”.
Un momento difficile l’ho vissuto sul Monte Bernina, in occasione della mia caduta in un crepaccio. Ho rotto un rampone e ho dovuto utilizzare la stringa di uno scarpone ed un pezzo di elastico dello zaino per rimettermi in condizione di uscire da dove mi ero infilato. Ho passato una notte intera dove ho mantenuto fortunatamente la  lucidità necessaria ad uscire illeso.

Oggi sei un soccorritore del 118 Emilia Romagna e sei stato catapultato nell’emergenza sanitaria, orari estenuanti e incontro quotidiano con dolore e sofferenza, la “tua” montagna ti viene in aiuto nei momenti bui?

La montagna mi ha insegnato a resistere per arrivare alla vetta, la vetta non è l’arrivo è solo un nuovo punto di  partenza, quando raggiungiamo la vetta dobbiamo poi scendere, ed è in quel momento che ricominciamo un nuovo percorso. A volte non si riesce ad arrivare in tempo alla vetta altre volte si, così succede anche nelle emergenze. Ho sempre avuto una propensione verso la condivisione e svolgo il mio “lavoro” con naturalezza così come con naturalezza mi approccio alla mia amata montagna.

Hai conosciuto per caso il Dalai Lama, che ricordo hai di quel momento?

Ero a  Tengboche in un monastero, ero stanco e mi sono seduto a fianco ad un monaco su una pietra, non avevo capito che quella persona silenziosa e sorridente che mi aveva lasciato un pò di spazio sulla sua “pietra” fosse il Datali Lama. Abbiamo scambiato poche parole, un pò per il mio inglese poco fluente e un pò per una sorta di rispetto naturale che si era creato. La tranquillità e la pace che ho avvertito in quel momento la porterò dentro me per sempre

il futuro post Covid -19 come lo vedi?

Lo vedo come una partenza dal campo base rispettando noi stessi e ciò che ci circonda.
La tua passione per la montagna, per la natura, ti ha fatto da condottiera per il trail running. Cosa significa per te correre sui sentieri per molti km in condizioni climatiche talvolta  difficili?

La natura decide, fondamentalmente io mi sono sempre sentito a cospetto della natura, entro in natura cerco il mio limite adeguandomi alla natura stessa.

Lavaredo ultratrail un sogno per molti, una delle gare più dura e spettacolare, come l’hai affrontata? Parlami anche di questo argomento sempre molto discusso, cosa mangi?
 
Sono partito per portare a termine questa “competizione", la mia forza è dipesa dalla natura, dal paesaggio dalle persone incontrate lungo il percorso. La mia preparazione di fatto ha previsto allenamenti quotidiani alternando corsa e bicicletta e vivendo ovviamente la montagna ogni giorno.
L’alimentazione? sono tradizionalista mangio ciò che mi piace pane, bresaola, grana e birra all’occorrenza. La mia grande fortuna è stata quella di crescere e vivere la montagna,  correre insieme a Marco DeGasperi e di essere stato anche appoggiato da alcuni sponsor nel corso della mia carriera da atleta.

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