Questioni di essenza, radici profonde. Francesco "Paco" Gentilucci - Montane, Du coaching, runner
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Francesco Gentilucci,
per tutti Paco sta ripercorrendo un vecchio sentiero fatto di riscoperta pura
del correre in natura nella maniera più essenziale possibile. Fuori dagli
schemi e ripercorrendo un sogno, ti riconosci in questa realtà?
Se
ci pensi la corsa è lo sport più democratico e anarchico che esista.
Non hai bisogno nemmeno di un pallone, di una porta, di attrezzatura, di
arbitri, abbonamenti e tantomeno di amici. È tutto già di per sé molto
essenziale e se guardi al passato ti accorgerai che un numero esagerato di
persone correvano più forte e più distante di quanto tu potrai mai fare senza
avere nient’altro che un paio di pantaloncini e delle scarpe (e neppure sempre,
se ti confronti con grandi campioni africani).
Per questo motivo lo sforzo del mercato e della società contemporanea del
consumo di creare nuovi bisogni e venderti gli oggetti per realizzarli assume
un peso irreale, che il più delle volte non corrisponde alla necessità di una
persona che vuole solo correre.
Molto
spesso ci siamo confrontati con Davide (Grazielli) sul fatto che la corsa possa
renderti una persona migliore. Forse no, ma continuo a pensare che se tutti
corressero, anche solo venti minuti al giorno, esisterebbero meno conflitti
nella nostra società.
Correre non è un gioco e non puoi incazzarti con gli arbitri o con gli altri;
ogni fallimento è personale e ne sei al 100% responsabile. Le seghe mentali, le
polemiche e i cinema che fanno di altre attività un intrattenimento per le
persone non esistono, sono solo uno sfondo sbiadito.
Io credo che correre permetta di ristabilire i tuoi limiti, siano essi positivi
o negativi e prescindono il confronto con gli altri corridori: la corsa va
oltre le gare e credo che quest’anno particolare abbia ribadito la cosa. Tutti
noi dovremo alla fine del 2020 aver interiorizzato che la corsa è un’attività
personale e una necessità reale (il lockdown totale dovrebbe averci reso
consapevoli al riguardo).
Poi, a livello personale, credo che la corsa possa rappresentare anche una
rivoluzione reale se messa in luce nel momento storico in cui viviamo, dove la
persona media è in sovrappeso, guida una macchina che brucia ossigeno inquinando
il mondo anche per andare a comprare il pane e nelle palestre le persone si
affollano per fare “attività cardio” sui tappeti meccanici. Proprio per questo
spesso sono veramente stufo nell’apatia e mediocrità che mostrano gran parte
dei corridori cosiddetti di élite: nel 2020 un ultrarunner non può limitarsi a
vincere le gare e stabilire record, ma deve impegnarsi politicamente nella
preservazione dell’ambiente in cui corre e nei valori di eguaglianza che la
corsa propone. Detto come mi piace dire: anche i brutti corrono, spesso più
forte di te.
Se
l’ultrarunning fosse un genere musicale mi piace immaginarlo come il punk
hardcore: privo di orpelli inutili, ma con messaggi chiari e consapevoli,
coinvolgimento, azioni dirette dal basso e senza adorazione cieca o distinzione
per chi sta sopra il palco, oltre allo sforzo di vivere il presente e non in un
eventuale futuro. Ovviamente è l’aspetto culturale ad affascinarmi, più che le
classifiche delle gare.
Prima
di diventare fuorviante ti dico: esci nel bosco e fatti una corsa, lasciando a
casa il cellulare. Quello rappresenta di più cosa significa correre in montagna
che non un qualsiasi pettorale o gilet da finisher.
Allo stesso modo, la costante ricerca di migliorare, chiedendo a chi ha più
esperienza e conoscenze, così come al provare ad “andare oltre” è una delle basi
essenziali del nostro sport.
Leggo spesso i tuoi
racconti, esperienze fatte sul campo in maniera reale a tutto tondo. Hai la
capacità di rendere semplice e modesto anche una cosa difficile da realizzare.
L'ultima nella tua terra natale, le Marche. Ci racconti di come hai sviluppato questa
idea e come l'hai realizzata?
Ti
ringrazio, ma credo che sia solo dovuto alla sincerità. La sincerità richiede
un grosso sforzo, ma se ti impegni a essere sincero non sei obbligato a
costruirti schemi mentali o sovrastrutture per spiegare cosa fai. Come dicevo
prima, è tutto veramente semplice e sono convinto che se una persona potesse
allacciarsi le scarpe e correre senza alcun riferimento con i video che ha
visto su youtube, con i giudizi degli esterni e le proprie seghe mentali dovute
al confronto con altre persone si godrebbe i chilometri fatti con le proprie
gambe.
Vedere le ragazze in ciclabile che corrono con una maglia che gli copre il
sedere perché le influencer nel mondo hanno creato questo stereotipo di
pseudo-modelle schiave delle aziende che corrono come fossero sotto ai
riflettori mi mette addosso molta tristezza, così come è triste pensare che una
persona possa essere insoddisfatta del proprio tempo in maratona non perché
voglia migliorare ma perché si sta confrontando con altre persone che vivono
una realtà (e degli impegni) diversi dai propri.
Se non siete atleti di professione e avete il privilegio di poter correre solo
per divertirvi lasciate che sia chi è pagato per vincere le corse a farlo,
senza patemi d’animo. Godetevi la corsa per quello che è, con la fatica e le
endorfine che ne conseguono.
Per
quanto riguarda Esanatoglia, ho trovato questo percorso favoloso realizzato da
alcuni volontari appassionati di mountain bike qui in zona. Sono 90 km circa e
i sentieri sono spettacolari, quindi ho deciso di percorrerli tutti assieme.
è stata una bellissima giornata e il percorso ti permette di gestirti con
veramente lo stretto necessario.
L’altra
cosa che mi porterò nei ricordi di quest’anno è stata la Translagorai Classic.
Mettendoci d’accordo con un paio di amici stretti e altri ragazzi che non avevo
mai conosciuto ma che erano attratti dall’idea abbiamo provato a correre il
percorso in giornata, un percorso che esiste da sempre. Ne sono nate storie e
racconti che sto provando ad archiviare in un sito internet (www.unghierottemaniaperte.com ) e la traversata a
mio avviso diventerà un must per tutti gli appassionati di questo sport (se già
non lo è).
Nella Translagorai Classic inoltre c’è anche un messaggio chiaro rivolto alla
politica locale di non intervenire con fasulli interventi di “miglioramento”
volti a portare un turismo di massa su questo percorso, che è già perfetto
così. Per questo motivo il lavoro di mandare la traccia/raccogliere il
racconto/spedire gli adesivi / vendere le maglie per pagarmi le spedizioni
degli adesivi ha un valore molto importante per me e non mi pesa.
In qualche modo non si sta solo organizzando un evento ma si sta provando a
diffondere la cultura del nostro sport che è legata in modo indissolubile al
sognare qualcosa e farsi il culo finché non sei in grado di farlo, da solo e
senza aiuti.
Ti ha aiutato montane
che ha iniziato a seguirti nelle poche cose essenziali della tua esperienza in
natura, come è nata questa collaborazione?
Conoscevo
già i ragazzi di Montane e quindi è stato tutto molto spontaneo. Utilizzavo già
i loro pantaloncini e l’assenza di loghi
enormi e colori sgargianti ha sempre incontrato il mio gusto. La qualità
altissima è lo standard dei prodotti che utilizzo e non potrei far altro che
consigliarli. Il fatto di avere la possibilità di avere un confronto diretto
con l’Azienda e di non essere un numero in un elenco mi permette di avere un
bel rapporto facile e ben funzionante. Ho tantissimi difetti, ma tra questi non
c’è l’essere disposto a mettermi in ginocchio per qualche sponsorizzazione, per
questo praticamente ogni cosa utilizzo cerco di sfruttarla al 100% e credo che
l’Azienda non sia venuta da me per i miei risultati: continuo a essere sempre
una mezzasega.
Hai ragione Montane
punta su linee pulite, ma alta tecnologia dei materiali. Come vedi Montane che
supporta una mezzasega e su un team di coach dediti all’ultra distanza?
Montane
ha già una lunghissima tradizione in UK nel supporto sia ad atleti che gare su
lunga distanza. A livello di supporto eventi il segmento scelto dall’azienda va
proprio nella direzione di gare di lunghissima distanza (TOR, SPINE LAKELAND
100) e molto spesso in semi autosufficienza o autosufficienza totale.
Per quanto riguarda DU Coaching (www.ducoaching.com ) hanno creduto al
progetto fin da subito.
DU è un team ormai
importante nel settore della corsa. Stessa attitudine come ieri?
Destination
Unknown è una bella realtà. Io credo che la forza e l’unicità stanno nel fatto
che è formato da più persone con attitudine simile ma competenze diverse e non
solo da un singolo. Un fenomeno a cui si è assistito negli anni è l’atleta
elite X che inizia ad allenare, il che, come potrai capire, crea dei limiti
evidenti.
Presuppongo sia ovvio che un team di persone e allenatori possano offrire più
che i consigli di un singolo allenatore (o atleta), perché molto spesso
l’esperienza maturata da atleta è solo il riflesso di ciò che hai vissuto nella
tua carriera, e non basta e non funziona applicarla a tutti. Il mondo del
coaching, o almeno, di una visione evoluta di esso, è quello di un sistema di
professionisti (e credo valga la pena ricordarlo perché non sono molti a
esercitare questa professione in qualità di libero professionista) che si
confrontano tra loro; più vicini a un gruppo di ricerca che all’intuizione
(possibile ma rara) di un singolo.
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Tornando
all’attitudine, credo di si. Tutti diventiamo più morbidi col passare del tempo
(Davide si è persino comprato una bicicletta), ma credo che alcuni valori
condivisi tra noi sono quelli di sempre. Una cosa di cui vado veramente fiero è
che per scelta rimandiamo al mittente le richieste di seguire atleti che si
dopano o hanno un passato da dopati. Io credo che non basta lamentarsi dei
problemi, ma prendere parte della lotta e se tutti si rifiutassero di lavorare
con queste persone, e ti ricordo (con grande tristezza) che molte aziende
supportano atleti con presenti o passati “sporchi”, il nostro mondo sarebbe più
pulito. La corsa è uno sport pieno di bei valori, ma vanno trasmessi e
interiorizzati.
Per vedere il futuro
devi fare adesso. Montane, DU Coaching, tu, cosa deve cambiare per rendere
tutto questo possibile?
Come ho appena detto credo
che non basta sognare, o molto spesso lamentarsi e basta, per cambiare in
meglio il futuro. Io non ho una grande visione sul futuro, mi è sempre
interessato poco, cerco di stare nel presente, per questo ritengo che qualsiasi
attore nella scena delle ultra può dare il suo importante contributo.
Io cerco di pensare a me stesso e non agli altri e voglio provare adesso come
in futuro a diffondere il più possibile la cultura della corsa su lunga
distanza e un certo tipo di visione. Dal mio punto di vista è l’ignoranza il
problema di fondo sia nei problemi grandi che minori. Per me un dopato è prima
di tutto una persona molto ignorante e credo che se si riuscisse a maturare la consapevolezza
che a doparti non sei un furbo, ma solo un povero coglione, si potrebbe
arginare il problema molto più che incrementando i controlli (che tanto nel
mondo delle ultra saranno sempre insufficienti). Lo stesso vale per le aziende,
che devono iniziare ad assumere personale preparato e appassionato di outdoor,
che conosca il movimento, le persone a cui si riferiscono e ciò che stanno
dicendo. Ritengo impossibile che una persona disinteressata allo sport in
natura possa capire l’importanza della preservazione dell’ambiente, o lotterà
per determinate cause ambientali, etiche o volte allo sviluppo di un certo tipo
di consumo piuttosto che di uno massificato e volto solo al profitto a tutti i
costi.
Hai mai visto un’azienda italiana muoversi attivamente per la diffusione di
valori e non solo per cercare di convincerti a comprare una nuova giacca
colorata?
Hai mai visto un’azienda italiana strappare il contratto a un atleta sporco o
forzare la mano con gli organizzatori per introdurre il trail work obbligatorio
prima delle gare, per rendere la gara plastic free o sono solo interessati alle
bandierine, ai gonfibili e ai gadget cinesi?
Io ritengo che tutti, dagli organizzatori di gare, agli allenatori, alle
aziende, agli appassionati siano influenzati e influenzino altre persone, molte
più di quante credono. Magari qualcuno arriverà anche in fondo a questa
pallosissima intervista.
Al futuro non ci pensiamo, iniziamo subito a mettere le palle sul tavolo e
rimboccarci le maniche.
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