Trail del Cinghiale 60k 2018 - race report



Un giorno quest’estate ho pensato che forse potevo tornare a fare trail. Dopo 4 anni in cui ho fatto tutt’altro.

Ci ho pensato perché ho ripreso ad andare in montagna con continuità. Camminando solo camminando perché di fatto ero convalescente.

Così col passare delle settimane mi sono trovata ad essere abbastanza allenata e un giorno ho provato a correre.

E mi sono divertita.

Allora ho ripreso in mano il calendario trail e ho guardato se c’era qualche gara che potevo fare, individuandone una da 45 km circa.

L’ho finita in buone condizioni.

A quel punto ha preso forma il mio piccolo progetto di reperire i punti itra necessari per la CCC o per la TDS entro la fine del 2018 e quindi occorreva fare due gare da 4 punti ciascuna, che ho individuato nel Licony Trail da 70 km e nel Trail del Cinghiale da 60 km.

Alternative pari a zero perché, avvicinandosi la fine della stagione trail, le gare lunghe iniziavano a scarseggiare.

Quindi erano pari a zero anche le possibilità di sbagliare.

Questa la premessa che ho cercato di riassumere semplificando un po' (forse un bel po') la situazione.

Il giorno 13 ottobre ho portato a termine il Licony Trail come da programma e mi sono iscritta al Trail del Cinghiale da 60 km (in realtà quasi 65).

 

Parto da Genova nel primo pomeriggio del venerdì, dopo mezza giornata di lavoro.

Salgo in auto, accendo la radio. Pronti, partenza, via.

Il viaggio risulta piuttosto faticoso: fino a Viareggio sotto la pioggia battente (d’altro canto nella Liguria di Levante c’è Allerta meteo arancione); poi nei pressi di Firenze il traffico è molto rallentato a causa di due incidenti.

Seguo fedelmente Google Maps e mi ritrovo ad esplorare il Mugello, comprendendo di essere poco lontano dalla città di Firenze.

Poi inizio a salire…salire….salire…..e raggiungo il Passo della Sambuca, dove inizio a pensare che forse sarebbe stato meglio consultare una cartina e non affidarsi così ciecamente alla tecnologia.

Scollino e mi ritrovo nella nebbia. E penso che noi a Zena la nebbia vera non l’abbiamo mai mai vista.

Raggiungo Palazzuolo sul Senio con un po' di fatica e anche un po' di apprensione.

Ritiro il pettorale.

Tutti si sorprendono del fatto che io sia sola, poiché vengo da lontano.

Assisto al briefing e mi rimetto in viaggio in direzione di Marradi. Altra salita. Altre curve. Altra nebbia.

Raggiungo la casa che ho preso in affitto e declino, in maniera ferma ma (spero) cortese, l’invito a cena della padrona di casa.

Inizio a sistemarmi e a preparare il materiale per la gara. Con la compagnia virtuale di marito e tanti amici a casa.

Penso che sono fortunata, che ho un sacco di persone che fanno il tifo per me e credono in me. Sicuramente più persone di quanto potessi pensare.

Penso che …”domani devo proprio arrivare, ho troppe persone che mi aspettano”…

Intanto la serata passa, ceno e mi metto a dormire.

L’indomani mattina raggiungo Palazzuolo sul Senio e parcheggio con facilità.

Il cielo è abbastanza cupo ma non piove.

La temperatura è ottima, circa 10°C.

Manca un’oretta alla partenza e prendo un caffè.

La gara è composta da tre “petali”, ovvero tre anelli e al termine di ciascuno si transita dal paese di Palazzuolo sul Senio.

Vista la conformazione del territorio, non ci sono lunghe salite e lunghe discese ma tanti strappi in salita seguiti da altrettante discese, alternati a lunghi tratti corribili (o, meglio, lunghi tratti che, in condizioni normali, dovrebbero poter essere corribili).

Nel momento della partenza inizia a piovere e io decido di partire comunque senza giacca anti – pioggia.

Nelle prime due ore di gara la pioggia è abbastanza intermittente e comunque mai forte.

Sono all’interno di un gruppone, sento i discorsi degli altri atleti, raccontano di gare fatte, di progetti per il 2019.

Non posso non notare che sono sicuramente la meno “esperta”. Io nella mia vita ho fatto solo due volte 70 km e una  volta oltre 4 anni fa.

Rido.

Sempre così. Non riesco a fare le cose con la dovuta gradualità per causa del mio distorto senso della misura. Però sono tranquilla. Il mio unico pensiero è per il cancello di metà gara. Superato quello, se non mi succede niente di eccezionale, io finisco.

Il terreno è fangoso per causa della pioggia del giorno prima e della notte, ma si riesce abbastanza a correre e i tratti corribili sono molti.

Completo il primo “petalo” in un tempo che mi soddisfa.

Mangio rapidamente una cosa al ristoro e riparto.

Inizia il secondo “petalo” e inizia anche a piovere molto forte.

Le condizioni dei sentieri rapidamente peggiorano ed inizia ad essere tutto molto faticoso anche nei tratti pianeggianti.

Si tratta di quanto di più simile alle sabbie mobili io abbia mai visto fino ad ora.

La discesa a Palazzuolo si rivela insidiosa e io sono fuori dal tempo limite.

Continuo a correre ma inizio a pensare che il mio viaggio si fermerà a Palazzuolo.

Comunque non mollo. Ho detto che avrei venduto cara la pelle e sono determinata a farlo.

Correre. Correre fino alla fine.

Cado un sacco di volte. Mi rialzo un sacco di volte. Non importa quante volte cadi, basta che ti rialzi una volta di più.

Quando sono quasi arrivata, una ragazza mi dice che l’organizzazione ha deciso di concedere mezz’ora in più.

Ricaccio indietro le lacrime. Sono dentro . Il mio viaggio non è finito.

“Keep on dreaming”.

Arrivata a Palazzuolo sono, ovviamente, carica come una sveglia per il fatto di non essere fuori gara come avevo temuto. Rapidamente mangio e mi metto in movimento. Non prima di avere scritto un messaggio a chi era in attesa.

Trovo un compagno di squadra col quale condividerò la seconda parte del percorso.

La seconda parte del percorso è veramente difficile da descrivere. Il termine “fango” non rende l’idea. I sentieri sono interamente coperti da uno strato della consistenza del cemento di pronta perché il terreno dell’Appennino in quella zona è argilloso.

Il percorso di per sé sarebbe corribile. E molto. Ma purtroppo in molti casi non si riesce a correre nemmeno nei tratti pianeggianti perché si sprofonda.

Certe discese sono totalmente impraticabili, un po' per il fango pre- esistente, un po' per la pioggia del mattino e un po' per il passaggio di centinaia di atleti.

Ormai arriviamo ma ci vuole del tempo.

Ci fermiamo un po' di più ai ristori dove posso apprezzare la gentilezza dei volontari che da ore sono fermi al freddo e che hanno davanti a loro ancora tante ore di attesa.

Viene buio e accendiamo le frontali. Pensando per un attimo a tutte le persone che in questo momento esatto sono in qualche locale a prendere l’aperitivo. Belle pulite e ordinate. Noi abbiamo il fango fin sopra i capelli.

Il percorso è ottimamente balisato con frecce  e bandelle catarifrangenti, è impossibile sbagliare anche col buio.

Uno squarcio nel cielo coperto da nuvole gravide di pioggia….Sorge la luna. Il fazzoletto di cielo sopra la mia testa è affollato di tante piccole, luminosissime stelle.

Mi ricordo un’altra notte in montagna, non in gara. Circa due mesi fa. Forse  come allora dovrei spegnere la frontale un attimo, come allora dovrei fermarmi e pensare che sono questi i momenti per cui vale la pena vivere.

Ma non lo faccio …voglio arrivare…voglio una doccia calda …voglio la mia medaglia…voglio (più di tutto) i miei 4 punti ITRA per i quali sono venuta qua.

Quindi proseguo. Piano piano pensando soprattutto a non farmi male.

Durante l’ultima discesa nel bosco cala la nebbia e, naturalmente, con la frontale non si vede niente. Nel mare di fango siamo molto lenti.

Veniamo superati dai primi concorrenti della gara da 90 km comprendendo, con un po' di ragionevole sconforto, che ogni cosa è relativa: dove noi fatichiamo a stare in piedi loro corrono.

Finalmente nella nebbia appaiono le luci del paese e si inizia a sentire la voce dello speaker.

Siamo arrivati, siamo finisher.



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